Dall'India con sudore - parte 2


Sulla strada per Pushkar.
Nota l'etichetta appesa allo specchietto "this taxi respects women",
e la mucca sdraiata in corsia destra.


» 13 agosto 2015, Pushkar

Quella a Jaipur era la seconda notte in terra straniera perché il primo contatto sul suolo indiano è andato in una marchetta VIP per avere un primo terreno su cui muoverci, ma soprattutto su cui dormire: questi primi giorni sono strutturati da un tour operator locale con cui, al termine di un'estenuante trattativa, siamo giunti ad una cifra accettabile per un ponte prepagato e mezzo-assistito sui primi giorni, che termina con due treni-letto prenotati, di media categoria, tra Agra e Khajuraho, e da lì a Varanasi, la città sacra per eccellenza.



Entrando a Pushkar: mucche nell'incrocio.


Abbiamo Sunder, autista con auto o auto con autista, non importa: è un uomo silenzioso e pacato ma di fatto detta il ritmo annunciando quando arriviamo all'hotel o presentandoci la guida-Cicerone del giorno. Siamo come su un nastro trasportatore, all'interno della capsula Sunder, una creatura sia umana che professionale.


Strada di Pushkar, con mucche sdraiate e bighellonanti in giro.


Nel frattempo abbiamo scoperto che in India i treni vanno prenotati con giorni di anticipo; l'organizzazione dei trasporti pubblici è fatta con poca strumentistica ma con tanta buona volontà; burocrazia e controlli si fanno notare ma altrettanto tengono un profilo non troppo invadente.


Il lago sacro al centro di Pushkar.

Così arriviamo a Pushkar, seconda tappa. Un pomeriggio a Pushkar, Rajasthan, vicino al confine con il Pakistan nella stagione dei monsoni, rivela una dimensione nuova dell'approccio alla vita: le basse colline attorno alla cittadina sono coperte di vegetazione tropicale, il cielo è lattiginoso e le nuvole basse, tutto sonnecchia, la giornata scorre silenziosa attraverso la canicola verso la sera; da qualche punto nella città vengono canti e percussioni disordinate, qualcosa che ricorda la voce dei muezzin dalle moschee; da qualche altra parte qualcuno martella del legno. Alcune donne in abiti dai colori accesissimi raccolgono verdure nei campi, ogni tanto riecheggia un muggito o qualche altro verso di animale, non ci sono altri suoni. Pace.




Gli indiani sono tendenzialmente vegetariani, bevono pochissimo alcool e raramente li si vede fumare; hanno rispetto per le altre creature, così le loro strade sono condivise con molti animali, dalle proverbiali vacche indù alle capre, dai maiali selvatici ai cani randagi e in certe regioni come l'attuale Rajasthan cammelli e pavoni.




È evidente che questi animali non conoscono maltrattamenti perché convivono tra gli umani come cittadini qualsiasi, tranquilli e pacifici passeggiano, mangiano e pisolano in mezzo alle strade e alla gente, e si vedono spesso persone che li nutrono e li accudiscono come forma di beneficenza o di relazione col mondo.




Nella foto qui sopra una donna nutre un gruppetto di mucche e riceve una donazione per questo da un passante meno povero di altri. Essendo nutriti e rispettati, gli animali, onnipresenti, paiono del tutto innocui, anche se con un occhio di attenzione e girando al largo se si agitano.




Una costante di questi paesi è il contrasto tra le abitazioni fatiscenti, semi-diroccate e trascuratissime, e i templi meravigliosi, curatissimi, sgargianti, a decine o centinaia. Va anche notato che queste religioni non hanno un clero, una casta sacerdotale con un potere, una gerarchia e un ruolo di coordinamento: le espressioni della spiritualità come i templi sono quindi spontanee e altrettanto vale per il contrasto tra la cura per queste e la cura per il resto.


Tempio Sikh a Pushkar


In una società con così tanta povertà e così diffusa, certi meccanismi sono diversi da quelli che conosciamo in Italia, e questa spiega come sia possibile che così tanti poveri non muoiano di fame a migliaia ogni giorno.




Dalla nostra ottica di occidentali quando sei vicino al non avere niente sei praticamente spacciato, ma non qui, perché innanzitutto qui fa sempre caldo, quindi l'unico problema che hai è nutrirti; nutrirti d'altra parte non è necessariamente fare colazione, pranzo e cena tutti i giorni, anzi questo è il modello che rende obesi molti occidentali mentre si può sopravvivere - e più in forma - con molto meno; ma l'elemento davvero mancante dalle nostre parti è l'abitudine a questo scenario: nei paesi ricchi la gente tende a barricarsi nella propria collezione di oggetti e non vuole nemmeno vedere la povertà, per varie ragioni tra cui paura e colpa.

Allora si scopre che le offerte al tempio vanno a coloro che ci vivono, o meglio a chi in ogni giorno si trova a dormire e mangiare al tempio, o ashram.


Tempio privato nella città, vietato l'ingresso agli stranieri.


C'è una certa dose di generosità spicciola diffusa a tappeto. Questo rumore di fondo di condivisione pulviscolare è ciò che fa da rete di salvataggio per chi non ha nulla, tanto che da queste parti ci sono migliaia di persone che scelgono una vita ascetica, consistente nella rinuncia a qualsiasi proprietà e ricchezza materiale per vivere di sola elemosina, vagando di tempio in tempio, di città in città. È una cosa difficile da credere e anche solo da immaginare, per noi, senza aver visto questo posto.

Noi li chiamiamo barboni, ma sono persone che incarnano una scelta di vita possibile che ha un suo senso spirituale, infatti qui li chiamano Holy Men, uomini sacri. Certo, da noi fa anche più freddo, e questo complica la faccenda.


Pianta di canapa spontanea nella siepe sul vialetto dell'hotel


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