Rancore




Dei vari argomenti che ho visto scorrere in questi giorni, uno mi è rimasto attaccato: il rancore che trasuda in ogni angolo dalle voci del web. Ognuno potrebbe darne le proprie ragioni, ma sarebbe un errore pensare che sia una qualità del web come mezzo di comunicazione o come sub-selezione della popolazione; se mai, il web è quel luogo che ci permette di toglierci la maschera sociale ("persona", appunto) e dare sfogo a ciò che vi si nasconde sotto, proiettandolo nel grande mare impersonale al di là delle ristrette cerchie di chi ci conosce solo come maschere.

Il tema mi ha colpito perché è vero che succede, ma anche perché da 5 anni - da quando, cioè, ho cominciato a tirare le mie somme sulla vita e a parlarne - questo è stato un mistero anche per me: se ho cominciato a scrivere qui nel Gregge è stato anche perché, quando ho cominciato a parlare dei miei pensieri con le persone che avevo attorno, "amici" in teoria, ho scoperto che le mie parole avevano il potere di far incazzare i miei interlocutori all'istante e in modo estremamente violento.




Sembra che l'unica modalità accettata dalle persone sia lo stare sulla superficie formale della generica cortesia priva di contenuti, dove tutti sono capaci di simulare un sorriso e di rispondere in automatico: grazie, prego. Al di fuori di questo livello di interazione vuota, è ancora accettata la narrazione di eventi personali (le vacanze, aneddoti, cronaca). Ma se si comincia a parlare di qualcosa - di qualsiasi cosa - in termini analitici - cioè il generico tentare di comprendere - il rischio di veder saltare le maschere e mostrare i denti impenna.

Potremmo parlare, come Freud, di Disagio della Civiltà, se non fosse che anche questo tema provoca rabbiose reazioni. Quindi meglio non parlarne.


"Che progresso stiamo facendo!
Nel Medio Evo mi avrebbero bruciato,
oggi si accontentano di bruciare i miei libri."


La parte di me che guarda affascinata alle dinamiche della psiche vede in questo fenomeno il conflitto tra conscio e inconscio, anche se queste due parole mi appaiono sempre più imprecise. Io vedo un'area controllata dall'Ego, in cui esiste una realtà sintetica che serve a mantenere un precario equilibrio mentale (conscio), che nasconde un più ampio intrico di nozioni e relazioni in cui sono represse e compresse tutte le cose che non vogliamo vedere (inconscio). Questo inconscio però non è affatto inconscio: non è un'area invisibile, in realtà sappiamo benissimo che cosa contiene, tant'è vero che basta avvicinarsi a quei contenuti anche di poco, anche per sbaglio, per vedere l'interlocutore trasformarsi in una maschera demoniaca.




Più saggio è tacere, come sempre.

Ecco quindi che l'assenza di dialogo, lo sguardo sempre abbassato sullo schermo dello smartphone, di cui tanti si lamentano, si rivela un gran bene da una parte e una soluzione di sopravvivenza dall'altra: la gente non vuole capire, perché capire è pericoloso per sé stessi e per gli altri. È pericoloso perché tanti sono barili di benzina pronti ad esplodere, carichi di un odio senza nome verso tutto il resto del mondo - che in realtà è un odio verso sé stessi.

Le ragioni di questo sono forse l'argomento attorno a cui gira questo intero blog, il fatto che la vita non è un dono ma un accidente incomprensibile in cui nessuno è volontario, e che l'unico modo per attraversarla con ragionevole serenità è proprio l'ammetterne le fondamentali inutilità ed insensatezza.




Credo di poter nuovamente indicare il caro Ego come NemicoPubblico#1: il Signore del Conscio che si ostina a voler difendere sé stesso dall'ammissione della propria inesistenza ed inutilità, della propria insensatezza, è il vero responsabile di questo rancore e di tutti i problemi delle persone.

Capire significa distruggere il proprio Ego, e siccome è lui che tiene le redini della scimmia, la usa per difendersi con ogni mezzo dagli attacchi. Non vuole capire, vuole solo ottenere quello che vuole - che di solito è spiccare sugli altri - mentre tenta di galleggiare sul mare di dolore che riempie il mondo e la vita di ognuno.

Voglio sottolineare ancora una volta come la soluzione non sia il piegarsi ai dettami culturali e sociali: spesso ho visto additare l'Ego come sinonimo di egoismo che danneggia gli interessi del sociale, come se la chiave della felicità fosse il diventare un automa che esegue quello che dicono i giornali, per cui sarebbe Ego anche il mio osare pensare, scrivere ed indicare strategie che contravvengono ai dettami della società e della cultura: secondo questo approccio dovrei tacere e piegarmi a 90 a ciò che il contesto tenta di impormi, cioè partecipare al ciclo della ripetizione infinita che ci ha portati fin qui, coi risultati che vediamo.


"Il mio terzo occhio vede attraverso le vostre stronzate."


No, cari furbetti (o stupidotti).

Quello che dico - magari sbagliando, chissene - è che non esistono soluzioni. Quello che dico è che puoi mandare avanti le cose come si sono sempre fatte - ottenendo quello che si è sempre ottenuto - oppure osare presumere di aver compreso qualcosa in più e prendere la strada per l'uscita dall'esistenza, l'Estinzionismo: questa via ti scarica di dosso immediatamente tutto il peso del mondo e ti pone in stato di estasi. Il non essere compreso dagli altri ti toglie anche lo stress del riconoscimento sociale, e ti ritrovi a galleggiare in un solitario stato di grazia, quello che alcuni chiamano Nirvana.




Non è colpa mia se altri ci erano già arrivati molto prima di me, caro Gabbani, e non è colpa mia se questi avevano gli occhi a mandorla. Anch'io trovo triste e risibile l'avvicinarsi a certe filosofie pensando che siano una specie di Valium, quando la realtà è che sono cose da comprendere, e che una volta comprese distruggono tutto ciò che pensavi fossero la tua vita e la tua personalità. D'altra parte ci puoi anche arrivare da solo, e forse è proprio questo uno dei motivi per cui l'Ego scatta come una vipera: perché sa già quello che dovrebbe sapere. È già morto.

È uno zombie.





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