Sincronicità
Oggi in giornata dovevo spedire dei file di lavoro ad un cliente. In realtà dovevo semplicemente accendere un computer perché i file erano in una cartella condivisa su Internet e dovevano solo essere spediti.
A metà pomeriggio il cliente mi chiama e mi chiede se posso anticipare la spedizione, e gli dico che l'avrei fatto nell'arco di un quarto d'ora, ma - smemorato come sono - me ne dimentico per un paio d'ore abbondanti.
Due ore abbondanti dopo sto facendo tutt'altro, con la testa su tutt'altro e, all'improvviso, mi ricordo di essermi dimenticato di accendere il computer, quindi volo giù e lo accendo. Il computer impiega il suo bel minuto ad arrivare all'operatività, io mi rilasso, e penso di risalire per avvisare il cliente che i file sono in arrivo, ma già avvicinandomi al telefono ho il sentore di trovare un suo segnale, e infatti c'è una chiamata persa, ed è sua.
Fine del racconto.
Epilogo: sento il cliente, mi scuso, gli spiego che i file sono in arrivo e gli racconto la coincidenza.
Magari questo aneddoto non vi sembra gran cosa, soprattutto perché episodi del genere capitano in continuazione, e scommetto anche a voi. Vero o no?
Gli amici scientisti in questo momento avranno già le sopracciglia inarcate e gli angoli della bocca piegati in giù, e attaccheranno con il calcolo delle probabilità, i gruppi di controllo e via discorrendo, ma il punto in questione è un altro: questi fatti accadono spesso, e quando hanno quel carattere di estrema precisione lasciano sempre la sensazione di qualcosa di magico. Nello specifico c'è una certa sequenza di fatti, che - almeno nella mia esperienza - si ripete sempre uguale nei casi limite, e all'inizio della sequenza c'è sempre un pensiero che emerge improvvisamente durante il normale flusso di coscienza, e il contatto della persona interessata subito seguente, con giusto il tempo che serve per cercare il numero in rubrica e fare la chiamata.
Facciamolo per gioco, allora, e seguiamo un consiglio di Einstein:
“Se vuoi diventare un vero scienziato,
pensa almeno mezz’ora al giorno in maniera opposta a quella dei tuoi colleghi."
E ve la butto lì piatta: telepatia. Proviamo a giustificare l'ipotesi, come se fosse vera.
Nell'ipotesi che la Coscienza abbia un potere a distanza sulla realtà, o - se preferite - che il cervello sia capace di funzionare un po' da rice-trasmittente di energia o di quello che vi pare, potremmo ipotizzare che arrivi a comunicare debolmente con altri, diciamo ad attivare dei circuiti neurali che sono già improntati alla ricezione di certe particolari realtà (idee, ricordi); la mia ipotesi è che questo avvenga sempre, che intorno ad ognuno ci sia un debolissimo campo di risonanza risultante dalla somma di campo gravitazionale, campo elettromagnetico, e campi a chissà che diavolo di livello se consideriamo anche tutta quella dimensione che è la Materia Oscura di cui parlano gli astronomi e i fisici, e che è completamente sconosciuta. Questo campo è molto più esteso di quello che pensiamo, perchè un'onda nello spazio può propagarsi per miliardi di anni-luce, come fa la luce delle stelle, e non dobbiamo farci ingannare dalla bassa intensità: il fatto che questo campo di perturbazione non sia abbastanza intenso da poterci accendere una lampadina non significa che sia trascurabile da ogni punto di vista: non dimentichiamo che anche il nostro cervello, che come tutti sappiamo funziona per trasmissione di potenziali elettrici, non è affatto una centrale nucleare, non si rimane fulminati mettendo le mani in un cervello. Quindi un circuito che funziona su potenziali così deboli può ben essere influenzato da campi altrettanto deboli, soprattutto sapendo che in ogni nostro organo i giochi si svolgono a livello molecolare, quindi quantistico, e la quantistica è basata sulla probabilità, non sulla certezza o sulla rigidità bianco/nero, quindi è incline a propendere per le tendenze del momento, ad essere influenzata anche da fattori molto piccoli.
Ecco che ci siamo.
Vi ho giustificato scientificamente l'ipotesi che la nostra mente non sia una scatola blindata ma un sistema ondivago e influenzabile da ciò che accade intorno e contemporaneamente un generatore di influenza sulla realtà circostante, e mi riferisco anche ad altre menti presenti nei dintorni o magari anche a distanza.
E rincaro la dose: quando pensiamo noi attiviamo certe reti di circuiti nel cervello piuttosto che altre. Questi circuiti attivati generano, come insetti sulla superficie dell'acqua in uno stagno, una intricata - anche se debolissima - emissione di onde nel tessuto dello spazio e a tutti livelli noti e meno noti. E gli stessi circuiti possono anche diventare antenne, nel momento in cui una perturbazione dello spazio può mettere in risonanza uno specifico circuito nel nostro cervello e portarlo all'attivazione solo per il sommarsi di piccoli scostamenti a livello quantistico, cioè di probabilità a livello delle cariche elettriche presenti nei tessuti.
Sono andato giù un po' pesante?
Chiedo scusa, ma per chi di queste cose mastica un po' volevo definirla almeno per sommi capi; poi io non sono tipo da conticini a tutti i costi sulle forze fisiche e altre amenità, perché un numero ti dice tutto ma anche niente, a ben vedere. Quello che sto dicendo è che dal punto di vista fisico, mettendo insieme tutto quello che sappiamo sulla natura della realtà, l'ipotesi sta in piedi.
Io ipotizzo che la mente sia una rice-trasmittente, che le emozioni siano gli amplificatori di potenza, e che i pensieri indirizzati a qualcuno o qualcosa e spinti in potenza dalle emozioni diventino capaci di comunicare e di indurre modificazioni nella realtà fisica.
Io dico che il mio cliente, che stava aspettando i file e non li aveva ancora ricevuti, ha pensato al mio indirizzo con un po' di irritazione o comunque sfogando una piccola pressione interna e, nel momento in cui anche lui ha raggiunto il picco di potenza massima, cioè quando si è attivato per telefonarmi, l'ondata di perturbazioni da lui emessa al mio indirizzo mi ha attivato il pensiero nella mente, e nel tempo in cui la telefonata è arrivata, io ero già corso ad accendere il computer.
Ora dimostratemi che è impossibile.