Global to Local

Diverse sere fa ero a casa di amici in una delle nostre Riunioni Sediziose Quindicinali, e abbiamo affrontato un problema di carattere economico ispirati da un piccolo espositore di cartone che era al centro del tavolo e che pubblicizzava la marca di birra di cui il padrone di casa è ghiotto, tanto da tenere un piccolo spillatore domestico al centro della cucina e una discreta scorta di fustini da 5 litri in frigo. 

Con l'acquisto dei fustini, il produttore del noto marchio allega questo espositore in cartone lucido ed elegante, da piegare e posizionare al centro del tavolo, così che i compagni di baldoria abbiano sempre il marchio sotto gli occhi. 

Sarà l'età - o l'inclinazione dei personaggi - ma quello è stato lo spunto per un'analisi macroeconomica interessante. 




Un oggetto come quel cartoncino va disegnato, stampato, unito al prodotto e consegnato, cioè è materiale (risorse) prodotto e utilizzato per un fine, quindi è un maggior consumo di risorse e una maggiore spesa per il produttore, che poi ricadono sull'utente finale; il suo fine è stimolare la preferenza per questo noto marchio straniero, evidentemente a scapito di altri marchi, compresi quelli locali. In altre parole si tratta di risorse consumate non per creare ricchezza, ma solo per spostare ricchezza da alcuni soggetti ad altri, nella fattispecie il suo fine è abbattere il consumo di altri marchi, magari locali, a vantaggio del grande marchio internazionale.




Il ragionamento è questo: in una visione di ampio respiro, ha senso che vengano consumate risorse per indurre i bevitori di birra a consumare un grande marchio importato anziché un altro marchio locale? Quella birra è buona, ma non più buona di altre birre locali.

Lo spreco non si limita al cartoncino in sé, ma significa anche maggiori costi di trasporto dei prodotti che percorrono lunghe distanze. Inoltre è tutto consumo (ossigeno per le imprese locali) strappato al territorio, quindi un impoverimento; su ogni scala, sono soldi che finiscono all'estero e consumando più risorse.

La ragione per cui un'operazione del genere accade ed è "sensata" è che gli azionisti o proprietari del marchio noto realizzano più profitti con questa pubblicità, riducendo quelli già modesti dei produttori locali, il che significa anche erosione di posti di lavoro e di indotto sul territorio.




Ricapitolando: il grande marchio, la multinazionale, ci danneggia direttamente nel momento in cui noi la preferiamo al prodotto locale, e questo è un ragionamento puramente economico, non patriottico o campanilistico.

Più spreco inutile di risorse, che paghi tu e che produce impoverimento locale.

Reazione possibile per il singolo: consuma prodotti locali, trova i produttori di ogni cosa vicino a te, ogni volta che puoi. Nelle aziende locali è impiegato il tuo vicino, l'amico dell'amico, la gente che hai attorno. Non c'è bisogno che sia lo Stato a fare protezionismo dei prodotti interni: l'intelligenza di questa politica individuale vale ad ogni scala ed è nelle mani del cittadino che, sapendolo, sceglie consapevolmente il prodotto nostrano. Tra i prodotti nostrani, evita quelli in cui, scritto in piccolo, vedi sull'etichetta che appartengono a qualche grande gruppo o holding.




Insomma: da oggi non sei più figo quando hai in mano la birra americana o tedesca; sei figo quando scegli la birra della tua terra, perché significa che hai capito come gira il mondo, e qual è il tuo interesse.


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