Generosità zero




Se stamattina alle 8:21 mi avessi visto, a passo veloce in una viottola del centro, forse mi avresti giudicato molto male (per l'ennesima volta). C'era un grasso barbone semi-sdraiato sul marciapiede, pareva un leone marino sulla spiaggia, e al mio passaggio mi ha apostrofato:

"Buongiorno Capo! Ciao bello!"

...e io ho tirato dritto senza nemmeno degnarlo di uno sguardo, come se non esistesse. Un'arte che ho imparato bene in India.




Poteva andare peggio, potevo gestirla alla Arancia Meccanica, ma non sono il tipo: preferisco sempre la non-azione, navigazione a Karma zero. Certo, qualcuno potrebbe parlare dell'indifferenza dei nostri tempi malati, dell'egoismo, e tante belle cose del genere. E nel mio caso in particolare, potresti dirmi:

Ma come?!
Tu sei quello che scrive cose come Clochardcore,
fai tanto il figo e il sensibilone, e poi,
alla prova dei fatti, ti comporti così?!
Dire ipocrita è usare un eufemismo!

Però io so che la mia reazione lì per lì è stata quella che è stata perché emersa spontaneamente, prima di averci pensato. È stata figlia di un calcolo fatto alla velocità della luce dal mio sistema di guida intuitivo. Ci ho riflettuto dopo, e, analizzando gli altri possibili percorsi di azione che avrei potuto tenere, ho visto che quella mia non-reazione è stata quella che mi avrebbe comunque infastidito di meno: qualsiasi altra cosa avessi fatto, me ne sarei pentito.

Perché?

Ad un'analisi attenta emerge qualcosa di inaspettato: nella situazione, lungi dall'apparente dinamica oppressore-oppresso, c'è stata una dinamica predatore-preda, dove il predatore era il barbone.




Ognuno, di norma, va per la propria strada perché sta inseguendo i propri interessi. Io non saluto la gente estranea che incontro, a meno che non abbia qualcosa da fare con loro. Quel barbone, nel mettersi sdraiato come una scrofa in mezzo al marciapiede, commette il primo atto passivo di aggressione: ti si impone.

Poi ti apostrofa simpaticamente, con falsa deferenza. Mi dai del Capo, ma intanto mi stai chiamando all'interazione con te, che io non cerco e a cui non sono interessato, e lo fai perché vuoi qualcosa da me. Non mi stai dando niente, vuoi prendere da me. Anche questo è un atto aggressivo, pur se camuffato da una posa umiliata e da una verbalizzazione deferente.

Sei tu che ti stai imponendo su di me, altro che Capo.

E, se io ti rispondo, sto accettando il tuo dominio e sto entrando nel tuo gioco.




E quel tono garrulo nella voce, quasi euforico. E quella stazza. Non stai morendo di fame, a quanto sembra. Sei sicuro di te, magari pensi di far leva su un senso di colpa che, però, in me non alberga. Magari sei solo un furbacchione che ha in banca più di quanto io abbia mai sognato.

Sei un Joker, e ti diverti a giocare con la mente semplice delle pecorelle che ti proiettano addosso i loro schemi mentali e sentono il dovere morale di trattarti come chiunque altro e, anzi - in quanto, in apparenza, facente parte di categoria debole, quindi categoria protetta - di trattarti meglio di chiunque altro, a scanso di equivoci.




Qualche volta anch'io ho fantasticato di fare una giornata da barbone in centro città, e a volte capita che per pochi minuti me la giochi sul confine di quella modalità, ricevendo sguardi obliqui dai Carabinieri a passeggio. Così, tanto per vedere il mondo da quella angolazione. Per vedere come cambiano le facce, il tono e gli sguardi delle persone quando ti proiettano addosso le loro idee su ciò che appari essere.

Questo è un gioco da Joker, perché solo una persona che sa che può essere chiunque può pensare seriamente una cosa del genere e attuarla senza remore, non certo chi se la crede fino in fondo, come se la sua cravatta fosse scritta nel suo DNA e prodotta dal corpo stesso, così come produce la pelle del prepuzio.

Ti è andata male, sacco di lardo: un Joker riconosce a istinto un altro Joker.





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