Bangkok




La pacata mostruosità delle megalopoli orientali, I suppose.

Bangkok si intravede attraverso la foschia tropicale come una skyline di centinaia di torri che si perdono nella cappa di umidità azzurra, è la città più calda del mondo, intorno ai 30 gradi, sempre. E per sempre.

Ogni torre conta trenta, quaranta piani o più, ed è un gioiello a sé: questa esibisce una geometria secca e surreale, quella accanto è smussata e candida come una torta nuziale; una è vetro e acciaio con il gelido stile neo-imperialista dei giorni nostri, l'altra mescola oro e smeraldo con cuspidi che crescono da ogni spigolo verso la sommità, come nelle più tradizionali costruzioni religiose; e la fantasia degli architetti continua a stupirti ad ogni angolo.

Per i turisti ci sono gli immensi centri commerciali che sono pura fantascienza agli occhi di un italiano; ma entrando in una qualsiasi vietta del centro più antico - la zona intorno al Palazzo Reale e costellata dei più importanti luoghi di culto della Capitale - ci si trova all'improvviso in una realtà insospettabile: un dedalo di stradine in cui a stento riesce a passare un'automobile, con ai lati basse costruzioni di un singolo piano che assomigliano più a vecchi e rudimentali garage per auto, in cui anziane donne svolgono le loro attività, famiglie mangiano sedute per terra nella penombra durante la canicola, altre persone dormono sdraiate in mezzo alle loro cianfrusaglie, e chi più ne ha ne metta; non ci sono porte, queste scatole di cemento servono solo a riparare dalla pioggia e il vento, quando capitano in questo clima, quindi il problema del freddo, dei doppi vetri e degli spifferi non esiste.

Le rive del fiume allo stesso modo forniscono nelle insenature l'ambiente propizio per la crescita di palafitte, e quelle vicine alle molte fermate dei battelli sono di fatto dei locali in cui si cucina e si serve chiunque passi.
Immagina cosa accadrebbe se cominciassero a menare il torrone per i permessi, le certificazioni, i contributi, le assunzioni in regola, le normative europee, etc.

Vicino alla camera c'è un vialone mostruoso, e su questo un ponte che scavalca un canale; sotto le due rampe vive un sacco di gente, hanno tutto: TV, frigo, una cucina, dei materassi e poi un sacco di cianfrusaglie, rottami. Di giorno fanno servizio di taxi-scooter. Quello che colpisce è che questa non è la povertà delle mosche negli occhi e delle mani levate, ma il modo in cui qui la gente ha vissuto da sempre, e c'è una serena stabilità (non politica, ma personale/spirituale) che si respira nell'aria: è una caratteristica di quasi tutti gli abitanti di questa città, fanno le loro cose e il tuo passaggio non sembra interessargli granché, al di là di sorriderti: se incroci lo sguardo ti sorridono, se sembri in difficoltà si offrono di aiutarti o semplicemente chiacchierano o scherzano. Ogni cosa ha un prezzo ma è fatta con poco e quindi costa poco.

Easy.

Sono tanti, tantissimi. Ognuno fa qualcosa, ma nessuno corre, e la ragione è proprio che non sembrano avere problemi con la loro condizione economica, con la quantità di roba che possiedono o con il grado di lusso in cui vivono: stanno bene. Cos'altro vuoi dalla vita?
Qualche avido c'è, ma dopo la prima esperienza impari a riconoscerli a olfatto perché sono la caricatura degli aspiranti businessman occidentali: vogliono di più, e per questo vivono insoddisfatti.

Il clima tropicale, con il Sole sempre a picco e le piogge torrenziali della stagione umida, fa sì che tutto tenda ad assumere un aspetto fatiscente in breve tempo; la città è quasi interamente cementificata, segnata come in strati geologici dagli interventi successivi di una "modernizzazione" galoppante e frenetica per cui, appena fuori dai grandi complessi architettonici, le strade, i marciapiedi, i pali della luce, qualunque cosa è un guazzabuglio di modifiche e aggiunte una sull'altra; i tralicci dell'elettricità sono pieni di centinaia di cavi che saettano in ogni direzione formando ragnatele inestricabili e piegando i pali stessi sotto il loro peso e le relative tensioni; in mezzo alle abitazioni ci sono spesso grosse e vetuste apparecchiature della distribuzione elettrica che in Italia non sarebbero nemmeno ipotizzabili. Tutto è ammassato alla rinfusa, e questo è il caos primordiale di un passato di adattamento hard-core ad un ambiente di per sé favorevole alla vita di noi primati.

L'entusiasmo modernista e consumista ha reso gli abitanti di Bangkok esseri talmente motorizzati che la città è costantemente avvolta da una cappa di smog che si taglia col coltello, altra ragione per cui tutto in breve tempo annerisce e assume un'aria antica e decadente; nessuno si muove a piedi, e sulle strade ci sono mezzi di ogni genere: dalle auto ultramoderne e sovradimensionate tipiche del post-moderno e pre-attuale uomo occidentale, ai più incredibili rottami concepibili dall'uomo, e si va dagli scooter ai tuk-tuk (specie di risciò motorizzati, tipo Ape-car ma molto prima versione) dalle auto ai furgoni, dai camion ai pullman.

Anche accanto alle grandi arterie del traffico tra i palazzi, sormontate da sopraelevate e ferrovie aeree come lo SkyTrain, si trovano bancarelle e piccoli chioschi in cui è possibile acquistare cibi tipici cucinati al volo, tipicamente basati su riso, pollo, maiale, pesce, frutta tropicale; molto fritto ma per lo più cose sfiziose e speziate, unite all'immancabile base di riso; l'idea di pasto è decostruita, in quell'ambiente il cibo è sempre disponibile lungo la strada quando serve o se ne hai voglia.
Questo è possibile perché la maggior parte della gente fa il suo lavoretto con calma, il personale si spreca - una bettola su un agghiacciante vialone di traffico intenso aveva impiegate almeno una quindicina di persone - ma il tutto è molto easy.

Le fantastiche bancarelle che a migliaia riempiono gli interstizi della megalopoli migrando di continuo, sono solitamente vecchi rottami di biciclette adattati con un side-car-cucina in assetto bellico.

È impossibile elencare tutto ciò in cui questo luogo è diverso dal mondo che conosciamo; ho tratteggiato un disegno d'insieme e puntato l'occhio telepatico della scrittura su alcune cose che mi hanno colpito, ma rendere l'idea di un'entità così enorme, così complessa e così diversa è impossibile.

È semplicemente un altro mondo.

Quattro parole per definirlo: fico, estremo, alieno, sereno.

Bangkok è un ecosistema corallino con gli umani al posto dei piccoli polpi, e su scala di pensiero moltiplicata; anche noi come i polpi, comunque, viviamo stando attenti a non morire e cercando di godercela.

Direi che il clima aiuta molto, e se a Bangkok la situazione è hot nel senso che il caldo ti schiaccia, in altre zone del paese sarà certamente più vivibile: prossima tappa Chiang Mai.





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