L'hamburger eterno (elogio dell'edonismo)
L'altra sera ho mangiato un hamburger eterno.
Chiedo scusa ai vegetariani di tutti i livelli di professionalità, confesso questo mio peccato da carnivoro; ho sempre amato la carne, e da quando è nata questa lotta vegetariana ne mangio ancora di più, perché il pensiero della possibilità di rinunciarvi, instillatomi dai vegetariani militanti, ha in qualche modo messo in risalto ai miei stessi occhi questa passione gastronomica che, un tempo, era inconsapevole, perché mimetizzata sotto la coltre della normalità. Senza volere, i vegetariani hanno molto accresciuto la mia consapevolezza di quanto godo nel mangiare animali morti e di quanto poco mi soddisfa il mangiare piante morte, quindi devo ringraziarli, perché hanno moltiplicato il piacere che provo nel farlo.
Comunque dicevo: ho mangiato un hamburger eterno.
E devo anche osservare che quasi tutti i veri piaceri della vita hanno a che fare con cose che entrano o escono dal nostro corpo. Sì, certo, qualche raffinato bacchettone vorrà storcere il naso per alludere all'esistenza di piaceri più elevati e raffinati, lontani dalla bassezza delle funzioni corporali dell'animale che siamo. In effetti provo piacere anche nello scrivere di questo hamburger eterno e delle nevrosi dei bacchettoni. Ma potrei osservare che anche queste parole che sto scrivendo stanno uscendo dal mio corpo, quindi la definizione rimane valida; e va anche detto che, se in questo momento sentissi giungere un profumo di barbecue dai dintorni, la sproporzione di attrattività tra le due cose mi farebbe immediatamente abbandonare la scrittura e mi fionderei a brandire coltello e forchetta!
Ma torniamo all'hamburger eterno.
L'eternità di questo hamburger è una questione filosofica, certo, ma impatta in modo diretto la qualità della vita, e quindi rientra nelle tecniche di gestione personale, riecheggiando nelle sfere della spiritualità e della felicità.
I soliti infidi preti ci lanciano strali accusandoci di edonismo, cioè di coltivare il piacere nella vita, perché loro ci vogliono sofferenti e penitenti, per poi stupirsi del dilagare di depressione, denatalità e della rabbia diffusa. È chiaro che avranno un piano, come quando predicano di evitare il controllo delle nascite nel Terzo Mondo. Hanno per forza un piano, non può essere che dicano queste cose senza aver mai pensato alle conseguenze. Mettendomi nei loro panni, probabilmente vorranno accelerare l'avvento dell'Eschaton e così chiudere per sempre il corso del Tempo.
Sono Estinzionisti anche loro, solo che non lo dicono.
Ma - tornando a noi e al nostro hamburger eterno - siccome io rido dei preti e dei loro piani (tanto quanto rido di tutti gli altri e dei loro piani), nella mia vita vedo il piacere come l'unico baluardo a difesa dell'equilibrio, per controbilanciare le infinite sofferenze e rotture di coglioni della vita. Voglio dire: nella vita non ho mica scelto io di entrare, mi ci hanno messo senza autorizzazione. E per quanto riguarda tutta la gente che soffre - e che io non aiuto perché sono troppo preso a farmi gli affari miei - non l'ho mica messa io né al mondo né nella merda. I preti, in questo, hanno molta più responsabilità; io faccio il possibile per risolvere il problema predicando l'Estinzione, ma per il resto sono tutti figli di Dio quindi se ne occupi Dio, io non voglio essere coinvolto.
I pro-vita si tolgano da soli le castagne dal fuoco.
Insomma è per tutto questo che ho un culto del piacere, per questo sono orgogliosamente edonista.
Entrando quindi nella scienza della massimizzazione del piacere, uno dei primi problemi che incontriamo è che il piacere, come tante altre cose, non è massimizzato con la quantità, ma con la qualità. Per la stessa ragione me ne sbatto completamente della longevità: non faccio controlli medici, faccio un sacco di cose che - dicono - fanno male e accorciano la vita, insomma me la godo più che posso mentre posso, ben conscio che, quando riaffonderò nella non-esistenza, quello sarà il massimo della pace, l'estasi suprema.
Purtroppo il piacere di una qualsiasi cosa è tanto maggiore quanto più grande è la sua rarità. Ti godi veramente un hamburger se hai davvero fame e se davvero desideravi mangiare un hamburger, ma se dopo il primo ne mangi altri 4, il piacere che proverai mangiando i successivi non sarà più lo stesso del primo, anzi ti appesantirai e soffrirai. Mangiando il primo hai sparato la tua cartuccia del piacere, e poi è finita: potrai avere altri hamburger, ma non potrai avere di nuovo lo stesso piacere.
Questo è un problema molto serio.
La mia tecnica, quindi, è quella di concentrare tutti i miei sensi sull'hambuger nel momento in cui comincio a mangiarlo, escludendo ogni altra cosa o pensiero, imbavagliando virtualmente gli eventuali commensali chiacchieroni, che mangiano pensando ad altro (avrò tempo più tardi per chiedergli se per caso stavano dicendo qualcosa di fondamentale per le sorti del Cosmo), e ricordando che tutto il Tempo è solo un'illusione, non c'è nessun passato, non c'è nessun futuro, c'è solo l'hamburger. Nessun Universo, nessun commensale, nessun "io": ci sono solo quel profumo, quel sapore, quella succosità, quella salinità, e sono Tutto.
Assolutamente Tutto.
Dio è un hamburger, che pezzo per pezzo entra nella bocca di una scimmia, sprigionando tutta la sua gloria, che si riverbera nei secoli dei secoli, amen.
Una conseguenza di questo modo di vivere l'esperienza è che, pur essendo trascorsi giorni da quel momento, ce l'ho ancora viva nella mente come se fosse un istante fa, è stata indimenticabile, e ci ho ripensato molte volte da allora, quasi riprovando lo stesso piacere e arrivando quasi a dirmi: