Il sorriso leggero del Buddha



Quando uno si avvicina al Buddismo di solito cerca la pace. Se cerca la pace è perché non ce l'ha, e se non ha pace significa che è turbato, irrequieto.

Ci sono solo due cose che possono perturbare la pace di fondo, o stato di equilibrio: il mondo esterno e il mondo interno, quindi ciò che arriva ad occhi, orecchie e agli altri organi di senso, e poi ciò che avviene nei pensieri. Per noi occidentali il grosso del problema è ciò che avviene nei pensieri, perché abbiamo nella testa un tritatutto perennemente a pieno regime, inarrestabile, quello che William Burroughs definiva un virus dallo spazio profondo.




Per quanto programmati in questo modo e deformati dall'uso e dell'abitudine, possiamo disintossicarci, disinfettarci. Ci vogliono anni ma si può fare. Il primo passo è cominciare a guardarlo come un demone che ti possiede e non come un tuo prodotto volontario che dice la Verità; la spaventosa prova di questo è il fatto che non riesci a comandargli il silenzio. A questo punto il processo di disinfestazione richiede disciplina, e inizialmente liberarsi del virus è soprattutto un lavoro di modifica e ottimizzazione dei suoi percorsi, dei suoi loop, ma con un po' d'impegno si può arrivare ad annichilirlo, facendolo ripiegare su sé stesso così tanto da farne un Buco Nero che è anche una Stella onnisignificante: l'Omega Point.

Una volta distrutto il virus si ha il dono del Silenzio, e quindi si può cominciare a guardare le cose per quello che sono. La meraviglia del mondo intenso, magico e vibrante che si nascondeva dietro al velo grigio del Linguaggio.




Il problema che si incontra lungo questo percorso è il mondo esterno, quello umano, perché è ciò che ci strattona avanti e indietro e metà delle volte lo fa in modo spiacevole. La spiacevolezza di questa presenza è ciò che ci tiene impegnati a far girare il tritatutto mentale, perché cerchiamo sempre soluzioni per i problemi del mondo esterno così da renderlo meno spiacevole.

Questa ricerca è completamente egoistica, ma spesso si camuffa nella forma di soluzioni generali, perché queste possono più facilmente trovare consenso, così che sia possibile sviluppare quella volontà di massa che potrebbe realizzare un cambiamento. Il cambiamento però non arriva mai, perché non si arriva mai ad una volontà di massa, e comunque gli obiettivi sono falsi obiettivi, quindi la situazione resta invariata finché non avviene - se avviene - una inversione nell'approccio: invece di cambiare il mondo, cambio io.


"Siamo quello che pensiamo.
Tutto ciò che siamo emerge coi nostri pensieri.
Coi nostri pensieri noi creiamo il mondo."


Questo è il vero scoglio. Cambiare sé stessi è risolutivo, ma è solitamente l'ultima delle carte che una persona è disposta a giocare, per una serie di ragioni legate all'Ego, all'abitudine, all'omeostasi naturale. Lamentarsi e trovare capri espiatori è molto più economico, non c'è paragone.

Il problema, a questo punto, è quanto si è disposti a cambiare.

Nel momento in cui decidi di fare questa rivoluzione copernicana nell'approccio, cioè smettere di lamentarti del mondo, di tentare di cambiarlo incolpando qualcun altro, e invece cominci a prenderlo come habitat neutro in cui trovare una sistemazione ottimale, si spalanca l'abisso interiore.

Ci sono certamente dei gradini intermedi in cui potresti fermarti e mettere radici, ma se quello che cerchi non è semplicemente una vita meno stressante o un lavoro che ti piace di più, ma è una vera e profonda ricerca della pace, devi mollare gli ormeggi del mondo di cartapesta culturale e lanciarti nell'abisso, che è profondissimo, e in fondo non c'è niente. O quasi.


Metti in discussione tutto
trova la tua luce.


Il sorriso leggero che non abbandona mai le labbra del Buddha è enigmatico come quello della Gioconda, perché ciò che nasconde è la consapevolezza del Nulla al di là di tutte le apparenze del Mondo Materiale, al di là di tutti gli attaccamenti, al di sopra di ogni illusione, di ogni credenza, di qualsiasi dogma. Quello che spesso sfugge è che quel sorriso non è un benefit che si può aggiungere a tutto il resto delle cose della vita; al contrario quel sorriso è tutto ciò che resta dopo il rogo di ogni vanità, di ogni e qualsiasi legame con l'Esistenza, che non a caso è definita Illusione.

Il processo che vi conduce non è una speculazione filosofica, è una trasformazione radicale di ogni cosa che si pensa di essere.

È il sorriso del non-morto, è la risposta al digrignamento terrorizzato fatta di scherno e compassione, perché non c'è niente a cui stare aggrappati, nessuna verità, nessuna risposta, e nemmeno nessuno che ponga la domanda. C'è solo un ribollire di forme, di movimento, il Gioco dell'Universo con sé stesso.


Io sono sveglio.


Compassione è un termine che forse un cristiano potrebbe voler confondere con amore, ma è una cosa molto diversa. Amore in occidente suona di attaccamento morboso, di color rosso fuoco come la passione e la rabbia, tutte cose che conducono alla sofferenza, al Lato Oscuro, che cancella il sorriso. La compassione del Buddha è una mano attorno alle spalle e un discorso consolatorio sulla vacuità della grande illusione dell'Esistenza e della Vita.

Se al Buddha si fosse chiesto: "Quale sarà il destino della razza umana?" lui avrebbe risposto con quel sorriso.

Se al Buddha si fosse chiesto: "Che sarà dei miei figli?" lui avrebbe risposto con quel sorriso.

Se al Buddha si fosse chiesto: "Qual è la migliore forma di governo?" lui avrebbe risposto con quel sorriso.

Se al Buddha avessi chiesto: "Chi sono io?" lui avrebbe risposto con quel sorriso, o forse avrebbe proprio riso di gusto.




Questa è la vera natura del sorriso leggero del Buddha. Questo è il modo in cui il Lato Oscuro viene sconfitto: rinunciando a combatterlo, perché non c'è nessun vincitore in questa guerra.





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